di Angela Fluri
L’ansia costituisce una delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo, accompagna
costantemente la vita dell’uomo moderno scandita da ritmi sempre più veloci e pressanti.
Questa “malattia dell’anima” si manifesta, fisicamente e mentalmente, nell’individuo
bloccando le sue capacità, il suo raziocinio, la vita affettiva e le emozioni positive
facendo emergere uno dei sentimenti più angosciosi e profondi che l’uomo ha sempre
cercato di evitare e raramente affrontare: la paura.
Ma che cosa è l’ansia in senso stretto?
Solitamente viene prodotta dall’elaborazione, sia conscia che inconscia, di stimoli
interni o esterni e definita come un sentimento penoso di pericolo imminente, più
o meno definito da parte del soggetto.
Per indicare lo stesso disturbo si usano a volte i termini di angoscia e ansietà
che indicano in ogni caso situazioni affettive che sfumano una nell’altra.
In ciascun individuo è presente un certo stato di ansietà ed è possibile evidenziarne
tutti gli aspetti intermedi fra ansia psicologica e ansia patologica.
Nel primo caso, rispetto ad un evento temuto, nell’individuo è presente un basso
livello d’ansia (strutturante) che genera un aumento della velocità associativa
e di apprendimento; migliora la capacità di formare giudizi validi sulla realtà
e diminuisce i tempi di reazione agli stimoli esterni.
Tutte queste reazioni positive producono un miglioramento della performance.
Nel secondo caso, invece, quando il livello d’ansia prodotto è alto (destrutturante)
le conseguenze sono opposte: l’apprendimento diventa difficoltoso o impossibile,
si verifica un rallentamento della velocità associativa e un restringimento del
campo della coscienza; anche il rapporto e la comunicazione tra soggetto ansioso
e mondo esterno viene meno.
Tutti questi elementi producono uno scadimento della performance e conducono all’individuazione
della patologia.
In questo caso l’individuo non è in grado di concretizzare e riconoscere il pericolo
da cui si sente minacciato e, di fronte alla minaccia che percepisce come immediata,
vive in una condizione di debolezza e di impotenza
A volte si precisa meglio il motivo della sensazione di paura: paura della morte,
paura dell’avvenire o del passato, che non trovano tuttavia giustificazione nella
realtà.
Secondo Lowen il panico può svilupparsi ogni volta che sia minacciata la vita. Nel
panico c’è una perdita di controllo sulle proprie azioni, come il caso della persona
che corre all’impazzata per sfuggire alla minaccia, respirando affannosamente.
Alcune persone entrano in panico più di altre quando si trovano di fronte ad una
minaccia per la vita, mentre solo pochi individui con un forte senso di sicurezza
interiore possono mantenere il controllo dell’io in situazioni del genere e non
provare panico.
Ci sono inoltre persone che entrano in panico in situazioni che non sono affatto
minacciose, come attraversare un ponte alto in automobile o trovarsi da soli in
mezzo alla folla, trovarsi soli lontano da casa.
Poiché questi sentimenti sono irrazionali, bisogna supporre che le situazioni evochino
una memoria corporea relativa ad una situazione infantile minacciosa per la vita.
(Lowen A., 1994)
Da questo studio è stata individuata una traccia che, partendo da una sintomatologia
comune dell’ansia, percorre l’analisi di Lowen sull’origine e sulla relativa strutturazione
nell’organismo dell’ansia.
Seguendo il procedimento di Lowen si focalizzerà l’attenzione su alcuni esempi di
proposte terapeutiche che riguardano il trattamento dell’ansia.
In riferimento ai blocchi principali che sono causa dell’ansia si distingueranno:
1) il blocco alla gola e al torace con l’ansia di soffocare; 2) il blocco al diaframma
e alla pelvi con l’ansia di cadere.
L’approccio neurofisiologico tende separare un’ansia positiva o fisiologica, espressione
di un’attivazione dei meccanismi cerebrali di vigilanza, di avviso, di avvertimento,
da un’ansia a connotazione clinica negativa che va oltre i limiti della sua funzione
biologica più sana ed invade con carattere di intensità e di persistenza anomale
l’organismo intero. (Sarteschi P. e Maggini C.,1982)
L’ansia è un semplice evento emotivo comune e rappresenta uno stato psicologico
e corporeo dell’uomo nei confronti delle vicissitudini della vita.
Ad esempio se una persona deve affrontare una situazione o una prova si trova in
genere in lieve stato ansioso, il suo corpo e la sua psiche si “orientano” verso
l’imminente evento quasi per affrontarlo e risolverlo nel miglior modo possibile.
In questo caso l’ansia “moderata” è di breve durata e sembra quasi essere utile
per l’adattamento dell’individuo a situazioni ambientali che gli richiedono risposte
soddisfacenti.
L’aumento dell’attenzione, della concentrazione, della memoria, della tensione muscolare
e di altre funzioni psicofisiche come l’aumento del battito cardiaco, l’innalzamento
della pressione del sangue sono considerati come una sorta di carica finalizzata
al superamento della prova.
Tuttavia quando in altre situazioni questo stato è continuo oppure intenso provoca
al contrario la caduta di tutte le funzioni descritte.
La persona può perdere concentrazione, essere disattenta, sentirsi troppo stanca
e improvvisamente “vuota” dal punto di vista mentale, essere incapace di adeguarsi
normalmente alla vita di tutti i giorni.
Nello studio della psicopatologia l’ansia rientra tra le più importanti alterazioni
dell’umore, delle emozioni e dei sentimenti.
“L’ansia è uno stato di inquietudine, di attesa affannosa, di pericolo imminente
e indefinibile vissuto come fenomeno primario, globale irriflessivo.
L’ansia si associa inoltre ad un sentimento di incertezza e di impotenza.
Mentre la paura è una risposta emozionale ad una minaccia reale e viene riconosciuta
come tale dall’individuo, l’ansia è priva di un oggetto scatenante o meglio questo
non viene riconosciuto chiaramente dall’individuo“. (Sarteschi P. e Maggini
C.,1982: p. 173)
L’ansia comporta irrequietezza, difficoltà a concentrarsi, irritabilità e tensione
muscolare dovuta ad una preoccupazione attesa eccessiva che l’individuo non riesce
a controllare.
I sintomi che più frequentemente i pazienti riportano sono:
I sintomi presenti sono:
Di seguito i sintomi caratteristici dell’ansia.
Sintomi psichici:
Sintomi somatici:
Freud dal 1894 ha più volte elaborato la teoria psicoanalitica dell’ansia.
Inizialmente riteneva l’ansia come un prodotto di trasformazione dell’energia libidica
insoddisfatta a causa di impedimenti esteriori.
Successivamente introdusse il concetto di “ansia nevrotica” generata dalla rimozione
delle pulsioni libidiche dell’Es che premono sull’Io, in questa seconda concezione
l’ansia si sviluppa nell’Io invece che essere subita passivamente da questo.
In seguito Freud giunge al concetto di ansia segnale, generata dal conflitto tra
Es e Super io , in questa ultima teorizzazione, non è più la rimozione a generare
l’ansia, ma è l’ansia che genera la rimozione intesa come meccanismo di difesa primario
atto a proteggere l’Io dal sentimento spiacevole dell’ansia.
Se la rimozione non è sufficiente ad arginare i conflitti vengono posti in atto
meccanismi supplementari che portano alla formazione dei sintomi nevrotici.
Quanto sviluppato dalla psicoanalisi sull’origine dell’ansia e delle psiconevrosi
può essere sintetizzato secondo questi termini: l’ansia nevrotica deriva da un
conflitto non risolto tra pulsione istintuale primarie che obbediscono al principio
del piacere (Es ) e pulsioni secondarie (o motivazioni di senso opposto) derivante
dall’apprendimento e dalla interiorizzazione di divieti morali e sociali (Super
io ); di fronte a queste tendenze opposte, l’Io (la cui funzione è soprattutto quella
di risolvere e di adeguare il conflitto a seconda della situazione ambientale o
vitale) è debole ed incapace di armonizzare le tendenze opposte in accordo al principio
di realtà.
Ebbene in chi soffre di ansia vi sarebbe o un super io troppo grande eccesso di
divieti morali ) o una debolezza dell’io per ristabilire un’armonia tra le pulsioni
opposte". (Sarteschi P. e Maggini C.,1982: p. 778)
Nonostante il fatto che Freud fosse arrivato alla conclusione che l’accumulo di
tensione producesse una difficoltà di respirazione tale da generare ansia, né lui
né la psicoanalisi seguirono questo filone che avrebbe aperto la strada della comprensione
biologica dei disturbi della personalità.
Successivamente Reich scoprì e approfondì autonomamente questa connessione che divenne
la base del suo approccio terapeutico e portò in seguito alla creazione della bionergetica.
Secondo Reich la scoperta e rimozione dei blocchi psichici poteva essere facilitata
dall’eliminazione dei blocchi fisici.
Di fronte a situazioni difficili o imprevedibili l’uomo sviluppa una difesa sia
fisica che mentale dietro la quale la personalità si nasconde per proteggere l’individuo.
Questa corazza tende a rinforzarsi e ad evolversi seguendo lo sviluppo dell’individuo,
garantisce un equilibrio psichico proteggendolo da quei traumi che non sono stati
rimossi e riducendo l’ansia e la paura apparente.
Rappresenta un meccanismo di protezione, la sintesi delle difese che un individuo
oppone alle provocazioni del mondo. (Reich W.,1973 )
Secondo Lowen l’ansia nevrotica nasce da un conflitto interno fra un movimento energetico
nel corpo e un controllo o blocco inconscio eretto a limitare o arrestare tale movimento.
I blocchi sono le tensioni muscolari croniche che compaiono soprattutto nella muscolatura
striata o volontaria che normalmente è soggetta al controllo dell’io.
Quando la tensione presente in un gruppo di muscoli diventa cronica il controllo
cosciente dell’io viene a mancare perché è diventato esso stesso inconscio( assumendo
il valore di difesa) e l’io non ha più autorità.
Funziona come un’entità indipendente all’interno della personalità e acquista potere
in proporzione diretta all’ammontare delle tensioni croniche del corpo.
Le difese psichiche e somatiche (le tensioni muscolari croniche) hanno la funzione
di proteggere la persona dai sentimenti repressi che non osa esprimere.
Queste tensioni muscolari, localizzate alla gola, al collo, al petto, al diaframma
e alla vita possono ostacolare notevolmente la respirazione e, se diventano croniche,
creano una predisposizione all’ansia.
C’è una connessione molto stretta tra difficoltà respiratorie e ansia: qualsiasi
blocco al processo respiratorio produce lo stato di ansia.
Carica e scarica
Lowen in Bioenergetica analizza la natura dell’ansia partendo dal principio
di carica e scarica e dagli organi interessati.
I principali organi della testa sono il cervello, i recettori sensoriali, il naso
e la bocca.
Ad eccezione del cervello le funzioni principali di questa parte del corpo sono
di tipo ricettivo.
L’ossigeno, il cibo e gli stimoli sensoriali entrano attraverso il capo, le funzioni
del basso addome e delle pelvi sono quelle di emissione ossia di evacuazione e di
scarica sessuale.
Anche le gambe in bioenergetica vengono considerate organi di scarica in quanto
spostano e sorreggono l’organismo.
Questa polarità delle funzioni corporee sta alla base: il capo è collegato a processi
che portano ad un aumento della carica di energia o all’eccitamento, mentre la parte
terminale del tronco comprende processi che portano alla scarica energetica.
La conservazione della vita dipende non solo da un apporto costante di energia quali
cibo, ossigeno, stimoli ma anche dalla scarica di una quantità equivalente della
stessa.
Quando il livello di scarica è inadeguato il primo risultato è la produzione di
ansia.
Nelle tecniche terapeutiche volte a mobilitare l’energia può accadere che, in conseguenza
della respirazione più profonda, l’energia o l’eccitazione dell’organismo cresca
e l’individuo non riesca a scaricarla in una manifestazione emotiva a causa di
una inibizione dell’autoespressione.
Il soggetto diventa nervoso e si sente a disagio, questo stato scompare non appena
riesce a scaricarsi efficacemente nel pianto o nella collera.
Di fronte all’impossibilità di scaricare in uno di questi due modi il soggetto deve
limitare la respirazione.
Per la maggior parte degli individui l’ansia è una condizione temporanea prodotta
da una situazione che eccita il corpo oltre il normale. Tutti tendono a rimanere
in uno stato di relativo equilibrio energetico, purtroppo il livello energetico
di questo stato è piuttosto basso per cui molti lamentano uno stato cronico di stanchezza
e affaticamento.
Aumentando l’energia si rischia di provocare un’ansia che l’individuo medio non
può tollerare senza un appoggio terapeutico.
Il supporto terapeutico viene fornito sotto forma di aiuto a comprendere l’ansia
e a scaricare l’eccitazione mediante l’espressione dei sentimenti.
L’organismo inoltre deve aprirsi e tendere la mano verso l’esterno per ottenere
e prendere ciò di cui ha bisogno.
Ansia e cuore
Qualsiasi gruppo di circostanze che interferiscano con l’attività delle funzioni
vitali dell’organismo (respirazione, ritmo cardiaco) produce ansia.
L’ansia più grave è associata con un disturbo del funzionamento del cuore.
Il cuore è l’organo più sensibile del corpo, la nostra esistenza dipende dalla sua
attività costante e ritmica. Quando questo ritmo si altera anche solo momentaneamente
come quando il cuore perde un colpo o si mette a battere all’impazzata proviamo
un senso di ansia nel più profondo del nostro essere. Chi abbia provato questa ansia
precocemente svilupperà molte difese per proteggere il cuore dai pericoli che ne
possono disturbare il funzionamento.
"Ogni dolore più o meno profondo,provoca il deflusso di sangue dalla periferia al
centro,sovraccaricando il cuore producendo una sensazione di oppressione e disperazione.
L’esperienza di un grande dolore durante l’infanzia può rendere un individuo adulto
riluttante ad amare".
Ciò non significa che non potrà o non vorrà amare, ma la sua spinta sarà incerta
ed esitante, non incondizionata. Il desiderio di amare può essere presente nel suo
cuore e coscientemente può volere amare ma se il ricordo del dolore rimane vivo
nell’inconscio,la paura gli impedirà di aprirsi. Il corpo sarà sotto il controllo
del sistema nervoso simpatico che inibisce il flusso del sangue in periferia".
(Lowen A., 1989: p 15)
I principali canali di comunicazione che partono dal cuore passano per la strettoia
del collo e della vita per giungere alla periferia, ai punti di contatto con il
mondo.
Se questi canali sono aperti la persona è aperta e il cuore è aperto al mondo.
Le difese vengono erette intorno a queste vie di passaggio; non escludono del tutto
la comunicazione o il contatto perché questo significherebbe la morte, ma consentono
una corrispondenza e un accesso limitati.
Finché il soggetto si mantiene entro questi limiti resta libero dall’ansia, ma è
un modo di vivere limitante , ristretto.
Queste difese vengono elaborate nel corso della vita e infine formano una potente
barriera contro qualsiasi tentativo di raggiungere il cuore.
Una terapia valida studia queste difese, le analizza in relazione all’esperienza
di vita del soggetto e le elabora accuratamente fino a raggiungere il cuore.
Ma perché questo sia possibile le difese devono essere comprese come processo evolutivo.
Le difese dall’ansia
Le difese possono operare in due modi contraddittori: difendendo dall’ansia e allo
stesso tempo creandone le condizioni.
Questo si verifica in quanto la posizione o la postura difensiva non si è sviluppata
per proteggere il soggetto dall’ansia, che è la sua funzione attuale, ma per proteggerlo
da una ferita provocata da una aggressione o da un rifiuto.
La persona che ha ricevuto ripetuti attacchi erigerà delle difese per evitare questo
pericolo in futuro.
Con l’andare del tempo il mantenimento delle difese diviene parte del modo di vivere
e l’esistenza di difese tiene viva la paura dell’aggressione e così ci si sente
giustificati a rafforzare sempre più la posizione difensiva.
Le difese però implicano una chiusura verso l’esterno e il risultato finale è che
l’individuo diventa prigioniero della sua stessa struttura difensiva.
Finché non farà sforzi per uscire rimarrà relativamente libero dall’ansia, ben protetto
dalle sue fortificazioni.
Il pericolo insorge (e l’ansia è un segnale di pericolo) quando il soggetto cerca
di aprirsi, di uscire o di lasciar cadere le difese.
Il pericolo non è reale e a livello cosciente il soggetto può anche saperlo ma sembra
reale.
Quando però le difese sono assenti o cedono non c’è ansia ma solo piacere.
Tutti i pazienti che si aprono o lasciano cadere la difesa affermano di sentirsi
vulnerabili.
Essere vulnerabili è vero per tutti perché è la natura della vita, ma quando ci
sentiamo vulnerabili abbiamo paura di essere aggrediti.
Siamo tutti mortali ma non sentiamo di dover morire a meno che percepiamo nel nostro
corpo che c’è qualcosa che non va.
Nel momento della vulnerabilità può insorgere l’ansia.
Se il soggetto cade in preda al panico, si chiude e cerca di ristabilire le difese,
proverà un’ansia fortissima.
Seguendo l’analisi fatta da Lowen in Bioenergetica è possibile individuare i seguenti
livelli di difese:
L’approccio terapeutico non può limitarsi al primo strato perchè ,pur aiutando una
persona a prendere conoscenza delle proprie tendenze a negare, proiettare, colpevolizzarsi
o razionalizzare, non riesce a far si che questa coscienza influisca sulle tensioni
muscolari o lasci uscire i sentimenti repressi.
In ciò risiede la debolezza dell’approccio puramente verbale che è necessariamente
limitato al primo strato.
Se le tensioni muscolari non vengono toccate la consapevolezza cosciente può facilmente
degenerare in diverso tipo di razionalizzazione con una forma concomitante ma alterata
di negazione e di proiezione.
È evidente che ogni manovra terapeutica efficace è destinata all’inizio a provocare
ansia.
Questo spiega perché l’insorgere dell’ansia durante la terapia viene in genere visto
come un segno positivo.
Costringe il soggetto a considerare con più obiettività le sue difese e facilita
l’elaborazione delle paure a livello sia psichico che muscolare.
Il processo di terapia è segnato da un aumento del sentire, dell’ansia e infine
da un intensificarsi del piacere.
Di fondamentale importanza sarà il lavoro sullo strato delle tensioni muscolari
quanto costituisce l’unica connessione diretta fra il primo le difese dell’io e
il terzo quello delle emozioni.
Lavorando direttamente sullo strato delle tensioni muscolari si può passare al primo
e al terzo ogni volta che è necessario.
Lavorando sulle tensioni muscolari si può aiutare il soggetto a capire come il suo
atteggiamento psicologico sia condizionato dall’armatura o rigidità del corpo.
Quando si ritiene opportuno si può attingere ai sentimenti repressi facendoli emergere
tramite la mobilizzazione dei muscoli contratti che ne limitano e ne bloccano l’espressione.
Un'altra traccia per la comprensione della natura dell’ansia viene fornita da Rollo
May che nel ricollegare il termine alla radice tedesca di ange, che significa soffocare
nelle strettoie.
La strettoia può essere il canale della nascita attraverso cui ciascuno passa
nel suo cammino verso un’esistenza indipendente.
Questo passaggio può essere carico di ansia perché rappresenta per l’organismo il
momento di transizione che lo porterà a respirare in maniera indipendente.
Ma la strettoia può anche essere il collo, una via angusta fra la testa e il resto
del corpo, attraverso cui l’aria passa ai polmoni e il sangue fluisce nella testa.
Il soffocamento in questa regione costituisce una minaccia diretta alla vita e provoca
ansia.
La definizione dunque dell’ansia data da May mostra che il meccanismo per cui le
tensioni del collo e della gola ostacolano la respirazione produce ansia.
Questo vale sia per l’ossigeno sia per il cibo.
Per la respirazione e per l’assunzione del cibo il neonato utilizza lo stesso meccanismo
fisiologico: quello del succhiare.
Il neonato succhia aria nei polmoni come succhia il latte per introdurlo in bocca
e nell’apparato digerente.
Dato che le due funzioni impiegano lo stesso meccanismo se una delle due è disturbata
ne risulterà influenzata anche l’altra.
Ad esempio nei neonati svezzati precocemente, può accadere che non accettano di
buon grado di perdere il loro primo oggetto d’amore per cui piangono e cercano il
seno con la bocca o con le mani e in questo modo esprimono l’amore, siccome il loro
tentativo viene frustrato diventano irrequieti e agitati e piangono di rabbia.
Questo comportamento spesso suscita una reazione ostile della madre e ben presto il neonato o il bambino
capisce che deve limitare il proprio desiderio.
Lo fa soffocando l’impulso di protendersi verso l’esterno e di piangere.
I muscoli del collo e della gola si contraggono per restringere l’apertura e bloccare
l’impulso.
Questo influisce anche sulla respirazione perché la chiusura della gola blocca l’impulso
di cercare e succhiare dentro l’aria.
Quando deve bloccare questi atti il bambino costruisce a livello sia psichico che
muscolare delle difese atte a inibire gli impulsi.
Con il tempo tali difese divengono strutturate nel corpo sotto forma di tensione
muscolare croniche e nella psiche come atteggiamenti caratteriali.
Allo stesso tempo viene represso il ricordo dell’esperienza e viene creato un ideale
dell’io che mette l’individuo al di sopra del desiderio di contatto e di intimità,
del desiderio di succhiare e di amare.
A livello dell’io la difesa prende forma in un atteggiamento che nega e considera
non virile il piangere; a livello corporeo si trovano delle tensioni sulle spalle
che rendono difficile il protendersi e se queste sono molto forti sarà difficile
proprio riuscire a piangere.
A livello emotivo ci sono dei sentimenti repressi di tristezza, di disperazione, di rabbia, di collera,
di impulsi a mordere a cui si aggiungono la paura e il desiderio.
Occorre elaborare tutto questo prima che il cuore del soggetto possa aprirsi nuovamente.
Questa sequenza ricerca del piacere-deprivazione, frustrazione o punizione-ansia-difesa
è lo schema generale che spiega tutti i problemi della personalità.
Per la comprensione di ogni caso individuale questo schema deve essere completato
dalla conoscenza della situazione specifica che hanno prodotto ansia e delle difese
che sono state erette per fronteggiarla.
Un altro fattore importante è il tempo, quanto più questa ansia è precoce tanto
più è diffusa e tanto più profondamente sono strutturate le difese che la devono
contrastare.
La natura e l’intensità del dolore temuto hanno un ruolo importante nel determinare
la posizione difensiva.
La respirazione non è meno importante della circolazione per vivere.
Il primo esercizio di contatto consiste nel non trattenere il respiro e lasciare
che la respirazione si sviluppi spontaneamente affinché la persona possa essere
consapevole di quanto non respira.
E' in questo momento che la conseguenza di una respirazione superficiale porta
nella persona il torace gonfio.
Questo atteggiamento corporeo è una difesa contro il senso di panico che è in relazione
con la paura di non riuscire ad assicurarsi abbastanza aria.
Una persona in queste condizioni fa uscire completamente l’aria, ha un momento di
panico al quale reagisce inspirando e gonfiando di nuovo il torace
È importante riuscire a far respirare il paziente più profondamente perché finché
respira superficialmente qualsiasi discussione su i suoi problemi rimane un esercizio
intellettuale.
Un modo per aiutare a respirare profondamente è farlo sdraiare sul cavalletto bioenergetico.
Lo stiramento all’indietro della schiena provocato dal cavalletto apre il torace
e stimola il processo respiratorio e dopo il cavalletto segue il bend over che favorisce
la fase di distensione e raccoglimento.
"A un livello profondo e inconscio il paziente teme che arrendersi e rinunciare alla
volontà equivalga a morire. Poiché è sopravvissuta grazie all’esercizio della volontà
rinunciare a questa e arrendersi alle proprie emozioni potrebbe concludersi con
la morte.
Il paziente deve rendersi conto del conflitto tra la sua volontà di vivere e il
suo desiderio di morire.
Per aiutare a raggiungere questa consapevolezza è utile l’esercizio bioenergetico
del cavalletto.
La persona giace sul cavaletto bioenergetico ed espira il più profondamente possibile.
Alla fine dell’espirazione viene istruita a non inspirare. A seconda di come il
paziente affronta questa situazione è possibile vedere a fondo nella sua personalità,
se deve inspirare subito dopo un espirazione relativamente breve, questa è una prova
dell’esistenza di panico.
Dal momento che il corpo normalmente ha nei polmoni e nel sangue una riserva di
ossigeno da due a tre minuti, il panico avvertito dal paziente non è determinato
da mancanza di aria o di ossigeno ma dall’incapacità di respirare liberamente a
causa di una tensione cronica del torace.
Il panico è associato al senso di insicurezza e a una paura dell’abbandono che evoca
lo spettro della morte.
Altri soggetti sembrano trattenere l’espirazione per un periodo eccessivamente lungo
durante l’esercizio, si ha l’impressione che il latente desiderio di morire sia
molto forte fin quasi al punto di accettare la morte.poiché il respiro è una manifestazione
del desiderio di vivere. Quando la volontà di vivere è inibita da questo esercizio
il desiderio di morire diviene più evidente.
Il panico deriva dal contatto con la paura della morte nel primo caso e dalla paura
del desiderio di morire nel secondo.
Espirare profondamente, tenere l’espirazione abbastanza a lungo tanto da provocare
un rantolo,che equivale all’atto spontaneo che afferma la vita, identico al primo
respiro del bambino appena nato,nel rantolo la gola si spalanca per inspirare più
aria possibile è come dire che si apre pienamente alla vita. Dopo il rantolo il
soggetto respira più profondamente e pienamente e spesso rompe in singhiozzi in
un pianto di manifestazione di sollievo,non bisogna opporsi alla vita per paura
della morte o per paura del coinvolgimento emotivo".(Lowen A., 1989: pp
146-1479)
La respirazione è legata anche all‘emissione vocale, di conseguenza quando la gola
è contratta non si espande nell’espirazione e nella inspirazione e non permettono
alla persona di respirare profondamente.
La persona ansiosa con la gola contratta tende a soffocare i sentimenti e in particolare
il desiderio di piangere e di gridare.
Piangere ed abbandonarsi ai singhiozzi libera la tensione nella gola ed inoltre
apre il ventre.
Tecniche terapeutiche tendono a evocare e far emergere i sentimenti repressi sottolineando
l’importanza di gridare.
Il gridare ha un potente effetto catartico sulla personalità, il grido è
come un’esplosione
all’interno della personalità, che distrugge temporaneamente la rigidità creata
dalla tensione muscolare cronica e mina alla base le difese dell’io, quelle del
primo strato.
Solitamente il paziente ha difficoltà a gridare perché la gola è bloccata dalle
tensioni muscolari.
Se si applica con le dita una ferma pressione sui muscoli scaleni anteriori lungo
il lato del collo mentre il soggetto emette un suono forte si riesce a trasformare
il suono in un grido.
Il grido in genere continua anche quando si smette di premere specialmente se il
soggetto ha bisogno di gridare.
Si passa poi al primo strato per determinare che cosa abbia determinato il grido
e perché fosse stato necessario reprimerlo.
In questo modo l’analisi e l’elaborazione della posizione difensiva coinvolgono
tutti e tre gli strati.
Per la gola stretta e serrata la manovra si trasforma in un processo di apertura
orientato alla crescita.
Il pianto e i singhiozzi profondi producono un effetto simile a quello delle
grida
ammorbidendo e sciogliendo le rigidità del corpo.
Il pianto libera la tensione lungo la parte anteriore ossia la parte tenera, ogni
singhiozzo è simile a una pulsazione che nasce dal profondo dell’addome e si estende
verso l’alto attraverso il torace e la gola per poi essere espresso sonoramente.
Per emettere il suono bisogna espirare, il pianto è impossibile se si trattiene
il respiro.
Con l’irrigidimento della gola e della mascella si arresta il suono e si inibisce
anche il pianto. Ma se si superano questi ostacoli dopo un bel pianto il petto si
sente più leggero e il respiro è più facile.
La risata è molto simile al pianto per la sua funzione di sfogo della tensione.
Ma non aiuta ad alleviare la malinconia, solo il pianto libera nel profondo la tristezza,
a volte il paziente inizierà a ridere spontaneamente per bloccare o negare la propria
tristezza.
Ha un effetto benefico anche scaricare la rabbia purché venga espressa sotto
controllo
e all’interno della situazione terapeutica, in quanto in queste condizioni la rabbia
non è una reazione distruttiva e può essere integrata nell’io della persona.
La paura è più difficile da evocare, ma è anche importante farla emergere, se non
si elaborano il panico, e il terrore l’effetto catartico delle grida, dell’esplosione
di rabbia e di tristezza è di breve durata.
E' comunque importante ai fini terapeutici permettere lo sfogo di questi sentimenti
perché scaricandoli si rende disponibile l’energia necessaria per il processo di
cambiamento e di crescita.
Un insieme analogo di tensioni muscolari localizzate nel diaframma ed intorno alla
vita può ostacolare notevolmente la respirazione limitando il movimento del diaframma.
Il diaframma è il principale muscolo respiratorio e la sua azione è notevolmente
soggetta agli stress emotivi, reagisce a situazioni di paura contraendosi.
Se la contrazione diventa cronica si crea una predisposizione all’ansia.
Lowen identifica quest’ansia come ansia di caduta.
Il diaframma è situato appena sopra un’altra strettoia: la vita che collega il torace
con l’addome e con le pelvi.
Attraverso di essa gli impulsi passano alla parte inferiore del corpo.
Un’ostruzione in questa regione strozza il flusso del sangue diretto all’apparato
genitale e alle gambe e produce ansia creando la paura di cadere con conseguente
reazione di trattenere il fiato.
Gli impulsi strozzati sono gli impulsi sessuali.
Fin da bambini si impara a controllare i propri impulsi sessuali tirando in dentro
la pancia e sollevando il diaframma, così l’ansia sessuale è intimamente collegata
ad una ostruzione della respirazione.
In alcuni pazienti che accusano problemi sessuali c’è un’ansia profonda che non
diventa cosciente finché non si sia ridotta la tensione intorno alla regione della
vita.
La maggior parte dei pazienti non sono consapevoli della propria ansia respiratoria.
Possono difendersi dall’ansia sessuale non consentendo ai sentimenti di integrarsi
agli stimoli sessuali, creando una costrizione a livello della vita. Possono escludere
il sentimento d’amore che provano nel cuore da ogni connessione diretta con l’eccitazione
dell’apparato genitale.
Al contrario nell’individuo può verificarsi che i suoi sentimenti sessuali vengono limitati ai genitali
senza avere alcun contatto con il cuore.
Queste dissociazioni vengono poi razionalizzata dall’io generando le difese che
servono a proteggere l’individuo dall’ansia.
La paura di cadere è una fase di transizione fra l’impasse di essere sospesi a mezz’aria
e la nuova condizione di avere i piedi saldamente piantati per terra.
In questa ultima situazione la paura di cadere non esiste, mentre nel primo caso
viene negata.
Quando si cominciano ad abbandonare le difese e si fa scendere il paziente attraverso
la respirazione e il grounding a terra, inevitabilmente può sorgere l’ansia di cadere.
Lo stesso vale per l’ansia di soffocare, che insorge solo quando si soffoca o si
frena un impulso a protendersi verso l’esterno.
Finché si permette a questo impulso di esprimersi solo entro certi limiti imposti
dalla struttura del carattere non si prova ansia. La trasgressione di questi limiti
dà origine all’ansia.
Il grado complessivo di ansia di una persona è equivalente al grado di ansia di
soffocare.
Ciò significa che una persona che soffre di ansia di soffocare avrà un’uguale proporzione
di ansia di cadere e viceversa.
Questo è dovuto al fatto che il flusso di eccitazione diretto a tutti i punti o
organi periferici del corpo è all’incirca uguale.
Lowen sottolinea l’importanza del gronding rispetto all’ansia di cadere in quanto
l’insicurezza è strutturata nel corpo a livello inconscio, anche se la persona può
avvertire di sentirsi insicura, non collega l’insicurezza con la gola serrata o
il petto gonfio né si accorge che si fa sorreggere dalle spalle invece di farsi
sostenere dalle gambe e dai piedi.
Dal momento che le gambe e i piedi sono le nostre radici funzionali, che ci collegano
al terreno dove stiamo eretti o ci muoviamo, le gambe possono apparire forti ma
se sono rigide o tese la loro sensibilità diminuirà e sarà difficile avvertire una
sensazione di appoggio.
Questa rigidità va vista come una difesa dalla paura di cadere.
Per un bambino piccolo la madre rappresenta la terra . Se il suo sostegno è insufficiente
il bambino avrà l’impressione di non poter contare su nessuno eccetto che su se
stesso e quindi di doversi sostenere solo con le proprie forze.
Tale meccanismo diverrà quindi subconscio, finchè il bambino ed in seguito l’adulto si sosterrà tenendo le spalle
e contraendo le gambe, si sentirà anche insicuro nella vita. Qualsiasi perdita di
amore o di serenità, qualsiasi situazione di paura o di pericolo, può aggravare
questa latente insicurezza, suscitando un’intensa sensazione di panico.
(Lowen A., 1989: p 71)
Lowen in Bioenergetica evidenzia in che modo i diversi caratteri sono legati all’
ansia di cadere.
La struttura del carattere schizoide rappresenta “un tenersi insieme” per paura
che l’abbandonarsi comporti il cadere a pezzi. Per il carattere schizoide la caduta
lo porterebbe a frantumarsi. Perciò in questo carattere ci aspetteremo di trovare
un’intensa ansia di cadere.
Per il carattere orale la paura di cadere porta con se l’ansia di essere solo, trovandosi
solo cadrebbe all’indietro. Se le gambe si lasciano andare sarà come un bambino
piccolo che quando le gambe non lo sostengono più, si lascia cadere di colpo per
terra e che non c’è nessuno a sorreggerlo.
Nel carattere psicopatico la paura di cadere è la paura di fallire, cadere significa
essere sconfitto e quindi poter essere usato.
Per il carattere masochista cadere significa perdere il controllo e lasciarsi andare
vuol dire perdere il ruolo di bravo ragazzo.
Per il carattere rigido la caduta è perdita dell’orgoglio. Cadrebbe in avanti sbattendo
la faccia e il suo io potrebbe frantumarsi, l’ansia è molta in quanto questa personalità
è fortemente legata a sentimenti di indipendenza e libertà.
Per ogni persona la caduta rappresenta la resa o la rinuncia ai propri schemi di
controllo e dunque alla posizione difensiva.
Siccome questa posizione è stata sviluppata come meccanismo di difesa e al fine
di assicurare un certo contatto , un certo grado di indipendenza e di libertà, abbandonarla
si evoca tutta l’ansia che in origine ne aveva imposto lo sviluppo.
Al paziente si può chiedere di correre il rischio perché la sua situazione di adulto
è diversa da quella dell’infanzia.
La funzione del terapeuta è di aiutare il paziente a superare l’ansia dello stato
di transizione, scoprirà così che il terreno sotto i piedi è solido e che è in grado
di reggersi da solo.
Per raggiungere questo scopo è possibile utilizzare l’esercizio della caduta.
L’esercizio proposto consiste nel mettere davanti al paziente un materasso in modo
che se il paziente cade non si farà male, si chiede di spostare tutto il peso su
una gamba e di flettere completamente il ginocchio caricato, l’altro piede tocca
leggermente il suolo e serve solo per l’equilibrio.
Il soggetto deve stare in questa posizione finché cade ma non deve lasciarsi cadere.
Lasciarsi andare coscientemente non equivale a cadere, perché l’individuo controlla
la discesa. Per essere efficace la caduta deve avere la qualità involontaria. Se
la mente è attenta a mantenere la posizione allora la caduta rappresenterà la liberazione
del corpo dal controllo cosciente; la maggior parte delle persone ha paura di perdere
il controllo del proprio corpo perciò questo fatto è già di per sé tale da provocare
ansia.
Attraverso questo esercizio sarà possibile farsi un’ idea dell’atteggiamento del
paziente e il modo in cui si tiene sarà il modo in cui andrà nel mondo, permetterà
una lettura del corpo e rileverà l’impasse in cui è imbrigliato. Questo esercizio
infatti mette a nudo le fissazioni che tengono sospesa una persona e creano l’ansia
di cadere.
Questo esercizio specifico aiuta anche a fornire queste esperienze, stando in piedi
con tutto il peso su una gamba si esercita sui muscoli una pressione che è sufficiente
a stancarli. Man mano la contrazione favorirà la vibrazione che permetterà una maggiore
sensibilità nelle gambe.
Nel contempo la respirazione diventa più profonda. Il corpo può essere percorso
da tremiti ma il soggetto non cade e si accorge con stupore che la gamba continua
a reggerlo anche se ha allentato il controllo cosciente sul corpo.
La gamba cede ed avviene la caduta, è un grande sollievo scoprire di non essere
fatti di acciaio, scoprire che quando non è più in grado di reggersi in piedi il
corpo cade.
Si prende coscienza inoltre che la caduta non è la fine, che non si viene distrutti
e che il corpo può rialzarsi.
All’esercizio del cadere si fa eseguire anche quello di alzarsi.
Alzarsi è come crescere, quando ci si alza la forza viene dal basso.
Nell’esercizio di alzarsi il soggetto sta in ginocchio sul materasso e i piedi sono
tesi all’indietro.
Poi il soggetto avanza un piede e si piega in avanti in modo da spostare parte del
peso sul piede avanzato si invita il soggetto a sentire il piede sul pavimento,
oscillando avanti e indietro renderà più intensa la sensazione.
Poi si solleva leggermente e mette tutto il peso sulla gamba avanzata. Adesso se
preme verso il basso con sufficiente forza si troverà ad alzarsi.
L’esercizio svolto correttamente farà sentire la forza che dal pavimento sale attraverso
il corpo e lo raddrizza dal basso.
Dopo l’esercizio del cadere il corpo del paziente è molto più sciolto, questo esercizio
infatti è tra i numerosi esercizi di mobilizzazione in bioenergetica.
I blocchi nella gola e nelle mascelle ci impediscono di piangere o di gridare; ma
ci impediscono anche di cantare o di gridare di gioia.
I blocchi nelle spalle o nelle braccia frenano non soltanto il nostro desiderio
di aggredire e di colpire, ma anche il nostro desiderio di abbracciare.
I blocchi nella vita ci impediscono di piangere e gridare, altrettanto bene di quanto
ci limitano il respirare e il sospirare.
Il paziente grazie al lavoro sul corpo potrà ammorbidire le tensioni e rivivere
il desiderio di essere accettato ed amato e anche la tristezza di avere desiderato,
talvolta invano.
Essendo ben radicato ed avendo un corpo pieno di energia potrà vivere nella realtà
adulta sentendosi in grado di abbandonare l’illusione di voler recuperare quanto
perso da bambino.
Lo scopo della terapia è quello di far sentire al paziente il suo corpo come vivo,
capace di sperimentare pienamente i piaceri e i dolori, le gioie e le sofferenze
della vita.
L’analisi dei conflitti rimossi, la liberazione delle emozioni represse e lo scioglimento
delle tensioni dei blocchi muscolari cronici hanno lo scopo di aumentare la capacità
di provare piacere.
L’unico modo di acquistare armonia è di aumentare la motilità del corpo per poi
fonderla con l’auto consapevolezza e ottenere un elevato grado di padronanza con
se stessi.
Lowen A. : Amore sesso e cuore, ed. Astrolabio, Roma 1989
Lowen A.: Arrendersi al corpo, ed. Astrolabio, Roma 1994
Lowen A.: Bioenergetica, ed. Feltrinelli , Milano 1983
Lowen A.: La depressione e il corpo, ed. Astrolabio, Roma 1980
Lowen A.: La spiritualità del corpo casa, ed. Astrolabio, Roma 1991
Lowen A.: Paura di vivere, ed. Astrolabio, Roma 1982
Lowen A. Lowen L., Espansione ed integrazione del corpo in bioenergetica, ed. Astrolabio,
Roma 1979
May R., La psicologia e il dilemma umano, ed Astrolabio, Roma 1970
Padrini F., Il massaggio bioenergetico, ed. Xenia, Milano 2005
Reich W., Analisi del carattere, ed Sugarco, Milano 1973
Sarteschi P. e Maggini C.: Manuale di psichiatria, ed S.B.M, Noceto 1982
Johnson S. M.: Il carattere simbiotico, ed. Astrolabio, Roma 1994
Johnson S. M.: La trasformazione del carattere, ed. Astrolabio, Roma 1986